Maurizio Crozza, alias "Silvio B."

Maurizio Crozza, alias “Silvio B.”

Un Festival nazional-popolare

Sarà il Festival delle idee” aveva detto il direttore di Rai Uno Giancarlo Leone nell’ultima conferenza stampa prima del via. Peccato che la partenza non sia stata proprio all’insegna delle novità. Forse però tutto sta ad abituarsi, ed allora chiamiamolo il Sanremo ai tempi della crisi. Nessun ospite internazionale eccetto un imbarazzatissimo Felix Baumgartner, tanta ironia ed un pizzico, anzi facciamo qualcosa di più, di tv nazional-popolare. La prima serata del 63° Festival scivola via tra troppe incertezze: senza squilli, ma si sapeva, la conduzione di Fazio, brillanti solo a tratti, e più spesso banali e prevedibili, gli intermezzi di Luciana Littizzetto, tra allusioni al suo essere anti-diva e riferimenti scontati (come i “gemiti” delle tenniste). Poi le canzoni, tante, e la politica, tantissima, esplicita e meno: durata accettabile, meno di quattro ore comprese pubblicità e sketch vari, e la musica finalmente al centro della scena. Ma delle canzoni parleremo a parte, limitamoci qui a dire che la doppia interpretazione non convince, che il tempo concesso per scegliere è troppo poco ma che la qualità generale è abbastanza alza. Ora soffermiamoci sullo spettacolo a latere. Impossibile allora non sottolineare il fiume di retorica che ha invaso l’Ariston: che ci sta bene, per carità, soprattutto, come si diceva, in tempi come questi, ma bastava dirlo prima. Ecco allora che la parolina magica l’ha pronunciata Fabio Fazio proprio all’inizio: “popolare”, appunto. Sanremo 2013 deve andare dritto al cuore della gente che in questi giorni, tra elezioni e dimissioni a sorpresa, ha tanto bisogno dei famosi cinque giorni festivalieri per staccare la spina e rilassarsi. Ecco quindi l’omaggio a Giuseppe Verdi che apre la serata e la letterina di Luciana Littizzetto che chiede a San Remo la grazia di non farle fare rime in “oni” o “azzi” e di non nominare i candidati (ringraziando che Samuele Bersani non è in gara…).

Maurizio Crozza spacca l’Ariston

Poi parte la gara: primi quattro cantanti a palla, con rispettive doppie canzoni. Tutto sembra filare liscio, addirittura in anticipo sui tempi. Ma poi arriva il ciclone-Crozza. Il comico genovese irrompe sulla scena vestito da Silvio B. cantando “Formidable“: apriti cielo. Ma qualche battuta spinta (“Quante belle signore in prima fila, come alle mie feste: con la differenza che queste sono vestite”) provoca la rabbia del Teatro: prima che parta il monologo vero e proprio infatti si assiste a due minuti pieni di spettacolo sospeso, tra i fischi dei (pochi) contestatori e gli applausi di chi vuole che si entri nel vivo. “Niente politica a Sanremo” “Buffone” “Ridicolo” sono solo alcuni degli epiteti degli anti-Crozziani: l’intervento di Fabio Fazio spezza l’imbarazzo generale e la sofferenza di Crozza che, con gli occhi lucidi, sembra tentato di andarsene. Ma il conduttore mette i puntini sulle i ed invita il pubblico “a non farsi riconoscere strumentalizzando Sanremo: prima ascoltiamo il monologo, poi giudicheremo. Quella di Maurizio è satira, non propaganda”. Ma c’è chi non ci sta e lascia il Teatro: si perderanno una quarantina di minuti, obiettivamente troppi, di effettiva satira politica tutt’altro che anti-berlusconiana visto che ad essere presi di mira sono i malcostumi del paese ed altri candidati come Pierluigi Bersani (“Sfigato” lo definisce Crozza: “Se vince le elezioni sarà seconda notizia dopo le dimissioni del Papa”) e Antonio Ingroia e soprattutto Luca Cordero di Montezemolo, fatto oggetto di pesanti satire sul suo rapporto con gli operai. Commento? Tutto eccessivo: l’ attesa per uno show alla fine deludente, le proteste del pubblico ed il tempo concesso a Crozza. Ricordiamo che il Festival va in eurovisione: cosa esportiamo all’estero? Cosa interessa ai francesi o ai portoghesi come parla Ingroia? Mistero buffo.

La contestazione dell’Ariston a Maurizio Crozza

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Toto Cutugno loves Russia

Poi riprende la gara ma prima di portarla a termine ecco altri due momenti “alti”, o no, dipende dai punti di vista. Prima una coppia di fidanzati omosessuali, che si sposeranno a New York il giorno di San Valentino perché in Italia non è permesso: hanno raccontato la loro storia d’amore senza parlare, con l’ausilio di semplici cartelli visivi, così come senza parlare hanno lasciato l’Ariston: trovata originale ed elegante, ma che farà discutere eccome sul colore politico di questo Festival. Infine ecco la pagina dedicata alla storia, con la lunga presenza di Toto Cutugno: momento importante sul piano emotivo, ma che è parso un po’ troppo retrò, e che più che omaggiare un pezzo della storia sanremese è servito per promuovere la popolarità di Toto nei paesi dell’est. Premiato da un imbarazzatissimo Angelo Ogbonna, che è riuscito a chiamarlo Totò, l’eterno secondo del Festival ha attualizzato una strofa dell’Italiano, tra elezioni e figli di immigrati, prima di cantare la versione originale accompagnato dal Coro dell’Armata Rossa. Il tempo di una canzone in russo ma anche per qualche scivolone politico. Toto manca da tempo dagli schermi, e forse ha perso l’abitudine: eccolo quindi rispondere stizzito alla provocatoria domanda della Littizzetto “Sei diventato comunista?” con un “Per amor del cielo”, prima della gaffe finale: “Quando canto in russo mi sale la nostalgia verso l’Unione Sovietica di una volta”. Ri-apriti cielo, ma Fazio lo ferma in tempo e regala la chicca della serata: “Mi avevano detto che dovevo tenere a freno Luciana ed invece devo guardarmi da Toto Cutugno”. A mercoledì: sperando che vada meglio.