raphael gualazzi

Raphael Gualazzi e l’exploit “europeo”

Presentarsi al Festival di Sanremo per due edizioni consecutive richiede coraggio e fiducia nei propri mezzi, ma pure la capacità di aggiornarsi. È questo ciò che ha tentato di fare Raphael Gualazzi, che sarà sul palco dell’Ariston per la terza volta della carriera, appunto solo un anno dopo l’esordio nella categoria Campioni con “Sai (ci basta un sogno)”, brano contenuto all’interno del terzo album della carriera, Happy Mistake, e che pur non riuscendo a salire sul podio (quinto posto), ha saputo meritarsi elogi incondizionati dalla critica. Complimenti inevitabili e condivisibili dal momento che siamo di fronte ad un talento puro della musica italiana, per la sua capacità di portare al successo le note del jazz e del blues, per un mix che lo rende di fatto unico nel panorama italiano. Peculiarità confermate dalla partecipazione all’Eurovision Song Contest (l’ex Eurofestival) nel 2011, meritata “sul campo” grazie al successo sanremese tra le Nuove Proposte con “Rapsodia d’amore”, ma che prima di quell’anno non era mai toccato al primo classificato tra i giovani. Raphael, con la versione inglese del brano, “Madness of love“, seppe arrampicarsi fino al secondo posto,stregando le giurie, ma non abbastanza per superare i rappresentanti dell’Azerbaijan.

Buon sangue non mente

Tuttavia, per provare ad esplorare le vette sanremesi, Gualazzi ha intrapreso una nuova sfida, quella di mixare la propria carta d’identità musicale con quella di Bloody Beetroots, rappresentante di quel genere elettronico apparentemente distante anni luce dalla musica del cuore di Gualazzi. È quindi con curiosità mista a fiducia per una commistione destinata ad avere successo che ci si avvicina ad ascoltare i brani “Liberi O No” e Tanto Ci Sei”. D’altronde Raphael la musica ce l’ha nel sangue, e non si tratta di un modo dire, visto che il padre, Velio, fu tra i fondatori degli “Anonima Sound” insieme ad Ivan Graziani, il cui figlio, Filippo, in gara tra le Nuove Proposte, Raphael ritroverà dietro le quinte di Sanremo 2014 per un dolce amarcord. Ma il resto deve venire dal talento, che come noto non si acquista, così già prima del debutto sanremese di tre anni orsono, la voce e la musica di Gualazzi erano ben conosciute dagli appassionati, grazie alla popolarità riscossa con Piano jazz, una compilation di cover dei principali artisti americani del genere, che gli valse addirittura inviti oltre oceano, e a quella ottenuta da un’altra cover, “Don’t stop”, sull’originale dei Fleetwood Mac, scelta poi come colonna sonora per un noto spot pubblicitario.

Alla scoperta di Bloody Beetroots

Logico chiedersi cosa possa produrre tutto ciò con l’accostamento ai Bloody Beetroots, unica partnership del Festival 2014. Bloody Beetroots altri non è che il nome scelto da Cornielius Rifo, produttore e dj nato a Bassano del Grappa nel 1979, che si circonda di musicisti che variano anche a distanza di pochi mesi: da qui il termine progetto per una formazione che ha all’attivo già quattro album ed una decina di singoli in sette anni di carriera (l’ultimo, “Out of Sight”, è stato prodotto da Paul McCartney), e che rappresenta una delle avanguardie più significative a livello nazionale per quanto riguarda la musica elettronica e punk rock. I punti di contatto con Gualazzi sono in apparenza zero, ma è ovvio che oltre alla ricerca di una vetrina nazionale ancora assente, i Bloody puntino a mostrare un taglio diverso della propria musica. D’altronde, la musica di qualità non può che andare d’accordo, anche se proveniente da universi paralleli. E la scelta di rimettersi in discussione potrebbe portare ad una soddisfazione per due…

Sanremo 2013: Raphael Gualazzi in “Sai (Ci basta un sogno)”