
Il c.t. della Corea del Sud Hong Myung-Bo
La crisi del calcio coreano
Alla fine l’ottava qualificazione consecutiva alla fase finale di un Mondiale, nona in assoluto considerando anche Svizzera ’54, è arrivata, ma con molta più fatica del previsto. Un chiaro segnale che quello attraversato dalla Corea del Sud è un difficile momento di ricambio generazionale, reso ancor più complicato dalla crescita tecnica di alcuni movimenti calcistici continentali, capaci di fare passi da gigante in pochi anni anche grazie al contributo fornito dalla “forza lavoro” straniera, tanto nella figura di commissario tecnico, che nei campionati nazionali. Tutto ciò che tradizionalmente è sempre mancato al football coreano, chiuso nella torre d’avorio di una superiorità tecnico-tattica messa in discussione dagli ultimi risultati. Si pensi all’Iran, ma soprattutto all’Uzbekistan, che ha conteso fino all’ultimo ai coreani il secondo posto nel girone finale di qualificazione, alla fine strappato dalle Tigri asiatiche, ma solo grazie a due gol in più di differenza reti.
Quel 2002 lontanissimo
Una qualificazione poco festeggiata anche in patria, e costata addirittura il posto a Kan-Hee Choi, fautore di un calcio conservativo molto lontano da quello della “scuola olandese” che ha segnato l’era più felice del calcio nazionale, quella del quarto posto al Mondiale casalingo 2002, ora lontano anni luce, così come il lavoro svolto da Guus Hiddink, primo degli unici due commissari tecnici stranieri nella storia della nazionale. Per ben figurare in Brasile, allora, la Federazione ha scelto di affidarsi proprio al simbolo di quell’impresa, il giovanissimo Hong Myung-Bo, classe ’69, il “Conte di Corea”, gloria del calcio coreano anni ’90 e 2000, terzo miglior giocatore al Mondiale 2002, primatista di presenze in Nazionale. Una scelta che riconsegna la Corea ai coreani avviata, dopo il flop di Dick Advocaat nel 2006, dal ritorno al passato con Huh Jung-Moo a Sudafrica 2010, teatro della storica qualificazione agli ottavi, vanificata dalla sfortunata sconfitta contro l’Uruguay. Un risultato comunque sufficiente per far pensare alla Federazione di tornare ad affidarsi in pianta stabile al made in Corea, ma insufficiente per smentire gli scettici, che attribuiscono quell’exploit vecchio di dodici anni a molta fortuna, oltre che agli indubbi favori arbitrali.
Le prospettive: serve l’impresa
Insomma, la sensazione è che se il Giappone rimane il movimento leader del continente, il gap accumulato dalla Corea stia aumentando. In Brasile quindi servirà la classica impresa per superare il primo turno, alla luce anche della sfortuna del sorteggio che ha collocato la Corea nel Gruppo H insieme al temibilissimo Belgio e alla Russia di Fabio Capello. A completare il raggruppamento l’Algeria, formazione con cui la Corea giocherà la seconda partita, il 22 giugno a Porto Alegre, verosimilmente decisiva per le poche speranze di qualificazione. Sulla carta la coppia destinata ad andare agli ottavi sembra certa. E non sembra tirare aria di sorprese.

Park Chu-Young
Corea al Mondiale 2014: le stelle della squadra
L’età media dell’organico a disposizione di Hong Myung-Bo è abbastanza giovane, non superando i 24 anni. Conseguenza del ricambio generazionale di cui sopra, al pari del fatto che quasi la metà dei clienti fissi della Nazionale giocano in patria, in un campionato che stenta a decollare sul piano tecnico. Gli elementi di maggiore esperienza vengono dalla difesa, dove trovano ancora spazio tanto Lee Jung-Soo, in forza ai qatarioti dell’Al-Sadd, che Cha Du-Ri, giocatore del Celtic e figlio del mitico Cha Bum-Kun, il più forte calciatore coreano di tutti i tempi, ex Bayer Leverkusen. La dote di classe e inventiva sarà invece richiesta a Ki Sung-Yueng, geometra di centrocampo compagno di Cha Du-Ri al Celtic, e a Koo Ja-Cheol del Bolton. Molto più lacunoso il reparto d’attacco, completamente privo di esperienza internazionale e ancora legato ai guizzi di Park Chu-Young, incapace di ritrovare all’Arsenal gli spunti che lo resero famoso nel triennio trascorso al Monaco.
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