Per carità, esserci andati è sempre meglio che aver fatto finta di nulla: è stata una visita a metà, ma pur sempre una visita, quella della comitiva azzurra che nella mattinata di mercoledì ha visitato il campo di concentramento nazista di Auschwitz-Birkenau, dove la seconda parole può risultare a molti sconosciuta: ma se ad Auschwitz era la sede del lager, le atrocità furono realizzate a Birkenau, laddove c’erano le camere a gas e dove furono sterminati un milione di cittadini ebrei. Fino ad oggi per l’Italia calcistica la Polonia è stata associata ad un’altra tragedia, la morte di Gaetano Scirea, perito il 3 settembre 1989 in un incidente stradale sulle dissestate strade provinciali verso Zabrze, dove si era recato per assistere ad una partita del Gornik, avversario della sua Juve (era l’allenatore in seconda di Dino Zoff) in Coppa Uefa. Ma da oggi, per i ventitre azzurri ed il resto dello staff, nulla sarà più come prima perché vedere con i propri occhi il più grande campo di sterminio del mondo lascia impotenti, e cambia forse per sempre il punto di vista sulla realtà.
Arrivata in Polonia martedì pomeriggio, cinque giorni prima della gara d’esordio contro la Spagna, la comitiva azzurra si è recata ad Auschwitz poco dopo le 10 di mercoledì, quando il gruppo ha varcato la porta con la celebre quanto macabra ed ironica scritta “Arbeit macht frei” (“Il lavoro rende liberi“), comune a molti lager: è stata una visita privata ma troppo breve, essendo terminata meno di due ore dopo. D’altronde le esigenze tecniche, allenamenti e prove in vista della Spagna, hanno avuto il sopravvento, ma non tutti sono d’accordo. A cominciare ovviamente da chi ha guidato gli azzurri nella visita, come il presidente dell’Unione comunità ebraiche Renzo Gattegna, che ha accolto allenatore, giocatori (muniti di cuffie-guida) e dirigenti: “Fare una visita tanto per farla è inutile –aveva detto alla vigilia- Auschwitz è un luogo che merita rispetto, e non pochi minuti per proforma”.
A scortare il gruppo azzurro e fare strada tra le strade dell’orrore c’era anche il direttore del Museo dell’Olocausto di Roma Marcello Pezzetti ma pure tre sopravvissuti, Anna Weiss, Samuel Modiano e Piero Terracina che hanno raccontato le loro terribili esperienze. La partecipazione e la serietà comunque sono state massime: Buffon ha deposto una corona di fiori bianco, rosso e verdi ai piedi del muro delle fucilazioni mentre ogni giocatore ha acceso un lumino, ed a tanti è sgorgata qualche sincera quanto inevitabile lacrima. “E’ stata per tutti un’esperienza davvero toccante – ha dichiarato poche ore dopo Chiellini. Ascoltare i racconti dei sopravvissuti o vedere i numeri tatuati sulle braccia sono emozioni che non dimenticheremo mai. Leggere certe cose sui libri di storia è molto diverso che vederle con i propri occhi”. La Nazionale si era già recata ad Auschwitz il 12 novembre 2003, in occasione di un’amichevole contro la Polonia, ma limitandosi a deporre una corona di fiori: erano giorni resi ancor più tristi dall’eccidio di Nassiriya, avvenuto il giorno precedente.
Leave A Comment